Fondazione Provinciale della Comunità Comasca

Facciamo i “conti” con dispersione e disoccupazione!

In seguito al nuovo rapporto Istat su occupazione e disoccupazione in Italia del mese di gennaio proviamo a fare un po’ di chiarezza su tassi di disoccupazione ed inattività, NEET, e la relazione di questi con la dispersione scolastica.
E’ stato pubblicato nella giornata di ieri il rapporto ISTAT provvisorio su occupati e disoccupati in Italia, aggiornato al mese di gennaio 2016.
A gennaio, secondo i dati raccolti dall’Istituto nazionale di statistica, il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni d’età, cioè la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati in cerca di occupazione), è pari al 39,3%, in crescita di 0,7 punti percentuali rispetto al mese precedente. Dal calcolo del tasso di disoccupazione sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età (compreso dunque anche chi studia o non cerca lavoro) è pari al 10,0% , cioè un giovane su 10 è disoccupato. Tale incidenza è in lieve calo (-0,1 punti) rispetto a dicembre. Nell’ultimo mese inoltre è calato tra i 15-24enni il tasso di occupazione (-0,5 punti) e cresciuto il tasso di inattività (+0,6 punti).
COSA NASCONDE IL TASSO D’INATTIVITA’?
Tutti i ragazzi che non cercano lavoro, perché studiano o stanno semplicemente a casa, rientrano nell’universo misterioso del tasso d’inattività. Questo dato non ci permette di capire con chiarezza quali siano le percentuali dei ragazzi che pur non essendo iscritti alle liste di collocamento cercano lavoro, né quale sia la discrepanza tra i giovani che realmente studiano e quelli che rimangono iscritti a studi superiori senza frequentare, nella speranza di posticipare l’entrata nel mondo del lavoro; così come non conosciamo quale sia la percentuale di chi rimane chiuso in casa o di chi lavora in modo saltuario in nero.
Pur non avendo dati certi sulle componenti del tasso d’inattività, si può affermare con certezza che si assiste ad una diminuzione del tasso d’iscrizione agli studi universitari. I dati forniti da UDU (una delle associazioni di categoria degli studenti universitari) denunciano che nel 2014/2015 ci sono state 70.000 iscrizioni in meno che vanno a sommarsi alle quasi 60.000 matricole già perse nell’anno precedente. Ciò significa che l’aumento degli inattivi non corrisponde di certo ad un aumento degli studenti universitari. In conclusione se il tasso d’inattività è in controtendenza rispetto alla diminuzione delle iscrizioni universitarie e ai dati sulla dispersione scolastica negli istituti superiori, il dato sugli inattivi diventa allarmante e dovrebbe divenire una priorità per lo Stato e per il terzo settore.
I NEET: I VERI DISPERSI
Tra le migliaia di sigle che l’Unione europea sforna costantemente avrete certamente sentito parlare dei NEET. Ma cosa sono esattamente?  I NEET (Not engaged in Emloyment, Education and Training) sono quegli individui che non lavorano, non studiano e non partecipano ad esperienze formative non formali quali tirocini, corsi regionali, servizio volontario, ecc… .
Le istituzioni europee da qualche anno stanno cercando di sensibilizzare le politiche pubbliche dei paesi membri sulla necessità incombente di combattere il fenomeno dei NEET che è ben più grave della semplice disoccupazione, perché spesso coinvolge persone moralmente rassegnate che cadono in situazioni di disagio.
In Europa la percentuale dei NEET tra i 15 e i 29 anni è il 17% del totale dei ragazzi compresi in questa fascia d’età.
In Italia le statistiche sono bene peggiori, il 26% dei giovani è coinvolto nel fenomeno, che tradotto in valori assoluti significa 2,4 milioni di persone.
E’ chiaro dunque che volgere lo sguardo alle sole politiche attive del lavoro non è di certo risolutivo: chi non cerca lavoro, nella maggioranza dei casi, non si metterà in gioco in percorsi formativi siano essi convenzionali o meno. Una delle possibili attività per contrastare il fenomeno è quindi investire sulle politiche educative e sui nostri sistemi d’istruzione, anticipando nei tempi l’intervento sociale che normalmente si concretizza nelle politiche attive del lavoro e di collocamento.
CONTRASTO ALLA DISPERSIONE SCOLASTICA: UNA “RADICE CUBICA” PER LA PERCENTUALE DEI NEET
Contrastare la dispersione scolastica significa certamente contrastare il fenomeno dei NEET, portare una sensibile crescita economica in termini di PIL, diminuire la spesa in ammortizzatori sociali, ma soprattutto evitare situazioni di disagio dovute alla situazione economica e al ruolo marginale che l’individuo ha nella società.
In tal senso progetti contro la dispersione scolastica che favoriscano la crescita del ragazzo, che ne coltivino i talenti e contrastino il disamore per la scuola abbatterebbero in 3 modi distinti ma paralleli la percentuale dei NEET:
meno ragazzi che abbandonano le superiori. Percorsi formativi che sviluppino le soft skill e valorizzino i talenti dei giovani contrastano il disamore per la scuola diminuendo l’abbandono alle superiori e abbassando di conseguenza la percentuale dei NEET.
più ragazzi all’università. Molti ragazzi potrebbero decidere di continuare gli studi consapevoli dei loro talenti e coadiuvati da un buon orientamento sceglierebbero di iscriversi all’università.
– meno disoccupazione giovanile. Investire sulla formazione significa avere ragazzi più preparati per affrontare il mondo del lavoro. Il mercato del lavoro è in continua evoluzione e richiede sempre più competenze trasversali, in alcuni casi non prettamente legate alla didattica tradizionale. Adeguare il sistema d’istruzione alle esigenze sarebbe a detta di molti un ottimo modo per collocare i ragazzi nel mercato del lavoro e abbattere il numero dei NEET.
Promuovendo un sistema educativo a misura di studente, combattendo la dispersione scolastica, coltivando i talenti dei giovani possiamo creare una società che non disperde le sue risorse più preziose: le persone!
E’ possibile approfondire consultando il rapporto dell’ISTAT: RAPPORTO GENNAIO 2016

Benefici fiscali

Donando alla Fondazione di comunità il donatore, che sia una persona fisica oppure giuridica, può godere dei massimi benefici fiscali previsti dalla legge. Inoltre la Fondazione tutela il donatore da qualunque possibile contestazione.

Quali sono i benefici fiscali previsti dalla legge italiana?

Una persona fisica può scegliere se:

  • detrarre dall’imposta lorda il 30% dell’importo donato, fino ad un massimo complessivo annuale pari a 30.000 euro (art. 83, comma 1 del D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 117)
  • dedurre dal reddito le donazioni, per un importo non superiore al 10% del reddito complessivo dichiarato (art. 83, comma 2 del D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 117)

Un’impresa può:

  • dedurre dal reddito le donazioni per un importo non superiore al 10% del reddito complessivo dichiarato (art. 83, comma 2 del D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 117)